L’eterno ritorno dell’uguale @Nietzsche

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Prendi una situazione, una qualsiasi situazione.
Ogni situazione ha un certo sentimento collegato a sè
– rabbia
– gioia
– dolore

disincarna, estrapola, astrai, ritaglia, il sentimento dalla situazione.

Come stavi tu, in quel momento?
Bene.

Ecco, sappi che queste due righe le potrai ripetere ancora, all’infinito.

Gli eventi vanno aldilà dei fatti.
Il fatto è collegato a persone fisiche, a individui in carne ed ossa, a luoghi materiali, ad oggetti.
Segue un ordine cronologico.

Gli eventi sono quello che aleggia attorno a tutta questa futile materialità.
L’evento è qualcosa di incorporeo che emerge dalle situazioni composte da luoghi e persone fisici.
Se ne distacca, ma allo stesso tempo ne proviene.

Perchè si sta male quando un amore o una bella situazione della propria esistenza termina?
Perchè ci si ferma al considerare solo l’aspetto materiale del proprio problema.
Sto male perchè lui mi ha lasciato, perchè mi sento solo, perchè non ho più nessuno da baciare e con cui parlare.
Ma tutto questo è futile, se ci si pensa.

Cambia il punto di vista, pensa: in quel momento, con quella persona, io sono stato bene.
Io stavo bene perchè.
Io mi sentivo così.
Lui era così.
Eravamo là.

E’ un ricordo, se vogliamo usare questo termine, anche se non mi piace molto.

Mantenere il ricordo disincarnato di ciò che ci succede ci aiuta a tirare avanti, credo.
Se ci mettiamo nell’ottica che tutto quello che rimane in noi può in qualche modo ripetersi, INDIPENDENTEMENTE dalle persone che frequentiamo, che odiamo, che amiamo, che “viviamo”, dai luoghi in cui ci troviamo, dagli oggetti che maneggiamo.

Quel ricordo-sentimento sarà possibile per sempre.
Perchè dopo che hai vissuto qualcosa che ti fa stare bene, lo riconosci subito.
Subito.
E’ come se, appunto, ti tornasse a mente qualcosa che ti sembrava aver scordato.
E quando torna, beh, sembra sempre la prima volta.


Postilla sulla fotografia

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Flickr e altri siti di “fotografia” stanno diventando sempre più squallidi.

A parte il numero esponenziale di foto di merda che vengono caricate (e che hanno però un botto di visualizzazioni);

a parte uomini vecchi e bavosi che si spacciano per “fotografi”, quando in realtà il loro scopo è ben altro;

a parte le ragazze che si spacciano per “modelle”, quando in realtà per mettersi in mostra darebbero via anche il culo;

a parte questo, la cosa che mi fa un po’ più schifo delle altre è che la fotografia – in generale – ormai è priva di originalità.

Se si da un’occhiata in giro, su Facebook e non, la tonalità degli sfondi, la stessa.

Le espressioni dei modelli, le stesse.

Le frasi, le stesse.

Le inquadrature, le stesse.

La disposizione degli oggetti, la stessa.

E più una cosa è simile ad un’altra, più piace.

Il giudizio sul fatto che piaccia o meno, non mi pare più nemmeno legato né al gusto personale di chi guarda la fotografia, né alla tecnica che ha prodotto la foto stessa.

Non c’è più né un giudizio estetico, né un giudizio legato alle nostre conoscenze.

Il giudizio è moda.

E se il giudizio è moda, anche la fotografia lo è.

E quando qualcosa è moda, è merda.

La conclusione quindi si enuncia da sola.


La secessione del Veneto @Internazionale

http://www.internazionale.it/opinioni/lee-marshall/2014/03/21/la-stampa-estera-si-appassiona-alla-secessione-italiana/

[…] “Sono rimasto di stucco. Perché non ne avevo sentito parlare in Italia? Comincio a leggere l’articolo.

Mi informa che nel Veneto (quindi non solo a Venezia) è in corso un referendum, organizzato da “attivisti e partiti locali”, per chiedere la formazione di una repubblica indipendente. Dice anche che, “secondo dei sondaggi recenti, i due terzi di un elettorato di quattro milioni di persone sono a favore dell’indipendenza”. Indago e scopro che uno dei primi a lanciare la notizia sui mezzi d’informazione anglosassoni, forse il primo, è stato il mio collega Nick Squires sul Daily Telegraph.” […]

“Un paio di giorni più tardi, la stampa del Veneto comincia finalmente a occuparsi seriamente della vicenda: ma la notizia non è il referendum, bensì il fatto che la stampa internazionale si occupi del referendum.”

 

Qualcosa in giro per Noblogs:

http://lantaworld.noblogs.org/post/2014/03/17/perche-ho-votato-no/#comment-152


Se “agire” è più che mai antiquato @Zygmunt Bauman e Gunther Anders

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Come viviamo oggi il tempo, la temporalità?

Anzi, abbiamo ancora noi una temporalità?

Il capitalismo è un modello economico che esalta l’oggetto-merce, attribuendo ad esso un significato quasi mistico; 

il profitto è il fine ultimo; 

un’esagerata mole di bisogni apparentemente da soddisfare, per tutti, in egual maniera.

E questa egual maniera è necessariamente comprare.

Spendere, consumare, acquistare.

Ed in seguito gettare, sprecare, buttare.

(non riciclare, attenzione).

 

Il ciclo capitalistico si svolge più o meno così:

  • bisogno apparentemente impellente da soddisfare;
  • acquisto dell’oggetto-merce;
  • utilizzo veloce, repentino del suddetto;
  • scarto;
  • insoddisfazione post-utilizzo dell’oggetto-merce;
  • nuovo necessario acquisto.

Il capitalismo, ci spiegano i due autori, si regge su questa spirale alienante, basata sull’aumento esponenziale dei bisogni (ormai diventati obblighi), bisogni preconfezionati appositamente dal sistema, e sul conseguente insoddisfacimento che ne deriva.

Perchè questa insoddisfazione?

Beh, perchè probabilmente non sono bisogni veri.

Bisogni umani.

Fondamentalmente noi uomini abbiamo bisogni abbastanza semplici, di base.

Di base, non siamo troppo complicati.

Dovremmo mangiare, dormire, vestirci.

Un tetto, poterci lavare.

Se ci soffermiamo un attimo a pensare a tutto quello che di in-necessario abbiamo dentro le nostre abitazioni, o semplicemente dentro i nostri zaini, dentro le nostre tasche, dentro le nostre borse, potremmo dare ragione a Bauman, ad Anders, ai nostri nonni, ai nostri genitori, forse, se anche quest’ultimi non si sono ridotti nella nostra condizione.

L’oggetto-merce non è più oggetto in senso proprio, spiega Anders.

Noi possediamo solo “versioni”.

Versioni che l’un l’altra differiscono per una “differenza marginale”, dice GastonBachelard, filosofo francese, differenza che a noi appare macroscopica, quando in realtà la funzionalità di base dell’oggetto non è cambiata per nulla.

(Si pensi alle numerose versioni di un telefono cellulare)

L’oggetto-merce non è misurato più secondo qualità, ma secondo quantità.

(come del resto le relazioni sociali, ma questo è un altro paio di maniche)

Più un oggetto è associabile alla velocità, più esso viene ritenuto utile, degno d’essere acquistato.

L’esaltazione della velocità, della comunicazione e non, ha portato un cambiamento di concetto di temporalità, esterno ed interno, ossia della temporalità dell’anima.

Viviamo in un eterno presente, mitizzato, impacchettato, luccicante e all’apparenza perfetto.

L’apice del progresso è la società in cui noi ci troviamo.

Mitizzare il presente, cosa tipica della filosofia del progresso, non ha conseguenze positive.

L’uomo odierno vive in una perenne attesa del futuro incastrato nel suo mondo, quasi impossibilitato ad uscirne.

In un contesto del genere l’azione è delegittimata.

Ci riduciamo ad essere schiavi della merce e del tempo della merce.

La velocità, oltre che renderci dei nevrotici cronici, annienta il tempo della nostra anima.

Oggettizzazione, la chiamerei.

Se ci comportiamo come i nostri oggetti, oggetti-merce, ci riduciamo ad esseri senza memoria.

 

Chi è il soggetto?

Il soggetto è colui che ha un senso di continuità rispetto ai suoi accadimenti;

colui che le esperienze le introietta, non se le lascia scivolare addosso come fredde gocce di rugiada, impassibile;

colui che ha scoperto una propria temporalità e che pian piano, grazie ad essa, impara a conoscersi.

 

Tutto ciò è inapplicabile con un modello puntinista del tempo.

Bauman e Anders (il filosofo tedesco non usa espressamente questo termine, ma nei suoi scritti il concetto era lo stesso) associano la morte del tempo, il tempo come esperienza introiettata, con la morte della soggettività, ossia, la morte dello spirito.

 

Cosa si intende precisamente per modello puntinista del tempo?

Il tempo, oggigiorno, è visto come una successione di attimi dalla durata sempre più ristretta.

Più un oggetto fa il suo dovere velocemente, istantaneamente, più è considerato un “buon oggetto”.

Più una persona si rivela agile nell’apprendimento, più la sua considerazione sociale migliora.

Gli esempi sono tanti, li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.

 

Oggettizzazione, velocizzazione, automatizzazione dell’uomo hanno come conseguenza una perdita della soggettività, della temporalità del vissuto e, necessariamente, l’oblio del passato.

 

Per giudicare il presente è necessario avere memoria, una memoria perlomeno.

Ma non solo, è necessario avere “spessore” nel presente.

 

Il soggetto storico non può saltare dal un istante vuoto ad un’altro istante, vuoto anch’esso, sempre più velocemente.

Il rischio è un appiattimento totale dell’esperienza e del sentimento.

Mitizzare questo tipo di presente, alla cui base vi è un modello puntinista del tempo, rende impossibile l’azione.

Agire suona “antiquato”, direbbe Anders.

Agire, oramai, significa premere un tasto, scrivere ad un computer, chattare, messaggiare.

Non è agire puro.

E’ un “fake” d’azione.

Il fantoccio di ciò che un tempo era la quotidianità.

Scrivere a mano, parlarsi uno di fronte all’altro, chiarirsi, esprimere la propria opinione a voce, confrontarsi.


Cos’è che delegittima un avversario? @Il realismo politico di Machiavelli

Non si fa faticare a paragonare l’italiano odierno all’homo sapiens e nemmeno all’uomo dei “secoli bui” del Medioevo.

Bui per modo di dire, poi.

Il realismo politico ha radici classiche.

Lo si può rintracciare nel primo libro de “La Repubblica” di Platone.

In uno dei tanti dialoghi che vedono protagonista Socrate, appare un personaggio, un certo Trasimaco, il quale irrompe sulla scena urlando ed accusando il povero Socrate d’esser solo un vecchio inutile, di voler sentire da lui stesso la verità, di smettere di porre soltando domande, ma di dare dellerisposte ai quesiti.

Socrate, astuto com’è, replica dicendo che in realtà è semplicemente Trasimaco che vuole rispondere, ma a causa del suo carattere ha portato la conversazione alla degenerazione.

“Che cos’è la giustizia?” 

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E’ questa la domanda che all’inizio del dialogo trapela.

La legge, dice Trasimaco, è ciò che giova al potere costituito.

Ogni governo fa le leggi per il proprio tornaconto ed il giusto è semplicemente il vantaggio del più forte, di colui che detiene il potere.

Questa visione “cruda” della politica è quella tipica del realismo.

Il realismo, come corrente di pensiero, riduce la politica al potere.

 

Machiavelli è vissuto in un periodo di tremenda instabilità per l’Italia.

(un momento.. c’è mai stato un periodo di stabilità?)

Un Paese – eternamente – diviso al suo interno; 

(ricordate comuni, principati & co.?);

una classe politica corrotta, lotte intestine e quant’altro.

 

Mi ricorda qualcosa.. anche se siamo nel 2014 e sono passati cinquecento anni.

 

Il realismo machiavelliano è interessante come pensiero.

Pensiero alquanto fondato, in quanto ci spiega che la lotta, in politica, è inevitabile.

L’uso della forza, anche se in questi termini intendo “forza verbale”, è strutturale alla politica, di qualsiasi Paese, e l’Italia non faceva e non fa eccezione alcuna.

 

Gli interessi sono sempre duplici: vi sono quelli del cittadino e quelli dello Stato.

E raramente essi coincidono.

Tutte le società hanno minoranza e maggioranze, in Parlamento e fuori di esso.

 

Uno Stato funzionante è armonioso, ma al suo interno il confronto tra queste due fazioni è perenne.

Se non c’è confronto (scontro), non c’è politica.

 

Il conflitto tra due gruppi di pensiero può rivelarsi, però, costruttivo o distruttivo.

Machiavelli oppone due realtà altamente differenti per spiegarci questo.

Un conflitto costruttivo, era per esempio la “lotta” politica durante la Repubblica di Roma.

Il conflitto ideologico riusciva ad essere incanalato negli organi costituzionali, controllato, legittimato.

Istituzionalizzato, per questo costruttivo.

Vi era rispetto reciproco, rispetto che proveniva da entrambe le due fazioni, della “cosa pubblica”, il terreno dove ci si confronta.

 

La “teoria del governo misto”, esaltata nei “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, sarebbe un sistema che genera stabilità all’interno del corpo politico di un Paese, pur mantenendo il conflitto all’interno, come germe ineliminabile della politica stessa.

La stabilità è garantita da una sorta di “checks and balances” anacronistico: il bilanciamento dei poteri.

 

Ora, Machiavelli non era uno stupido, e vedeva come realmente andassero le cose in Italia.

Il conflitto era basato sulla delegittimazione reciproca.

Esso, del resto, non era istituzionalizzato e l’avversario non veniva tantomeno trattato con rispetto, anzi, l’avversario non aveva quasi diritto d’esistere.

 

Cos’è che delegittima un avversario?

Per Machiavelli, la costante tendenza al bipolarismo.

Un opposizione logica: A e NON-A.

Ecco ciò che annienta il dialogo, il conflitto “costruttivo”.

Scontri ideologici del genere sono solamente distruttivi e non portano a nulla, se non aumentare la ferocia dei partecipanti.

Le questioni di cui si “discute”, anche se è un termine alquanto ambiguo, dato che oggi, per esempio, in Parlamento volano addirittura le sedie, non si svolgono più al fine di fare progetti per la “cosa pubblica”, ma si svolgono solo perinteresse privato.

Il passaggio da interesse pubblico ad interesse privato (personale) è ciò che logora il conflitto costruttivo rendendolo distruttivo.

Un “armoniosa conflittualità” simile a quella della Repubblica romana, non può che fare bene ad un Paese ed alla sua politica.

Ma quando non c’è dialogo tra le parti, il sistema si logora.

La politica è scontro, ma deve essere uno scontro finalizzato, ragionato e ragionevole.

 

Questo discorso, se ci si fa caso, è molto attuale.

Nessuno vuole fornire ricette di politica, qui.

Ma la realtà l’abbiamo tutti davanti agli occhi.

Le questioni diventano questioni di principio.

Ai piani alti e specularmente ai piani più bassi.

Ad “A” inevitabilmente deve seguire un “NON-A”.

L’opposizione logica, che annienta entrambe le parti, non può che essere oramai radicata nel sistema.

Sistema che si sta distruggendo non per progressiva entropia, ma a causa di un violento, repentino: boom.

 


Torino – #29M – Corteo regionale per il diritto alla casa

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SABATO 29 MARZO 2014

ORE 15
C.SO MARCONI ANG.VIA MADAMA
TORINO

————————-
[CORTEO REGIONALE PER IL DIRITTO ALLA CASA]
Assedio alle risorse e all’austerity
————————-
# Contro il piano casa del governo Renzi e per l’immediata
cancellazione dell’art.5 contro le occupazioni abitative
# Blocco di sfratti, sgomberi e pignoramenti
# Contro le speculazioni, il consumo di suolo e la svendita
del patrimonio pubblico
# Contro la distruzione del welfare, utilizziamo le
risorse regionali per casa, scuola, reddito, sanità
# No alla truffa dell’housing sociale per un rilancio
dell’edilizia popolare
# Stop al pagamento dei 480 euro da
parte degli inquilini ATC per
l’accesso al fondo regionale per la casa


Violenza reale e violenza virtuale @Ask.fm

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Coincidono davvero?

Si sviluppano in parallelo?

Stamattina ascoltavo Rainews, c’è stato un dibattito proprio su questo.

I giovani ragazzini sono diventati violenti a causa della società violenta e dell’uso spregiudicato dei social network.

Questa è la tesi di base che veniva sostenuta.

Internet è il mondo [e NB: non lo specchio del mondo – altrimenti sarebbe questione di specularità e sarebbe l’opposto del mondo].

Scendiamo di un gradino in grandezza: la società è il web -> i giovani sono influenzati dalla società = i giovani sono influenzati dal web.

Qualcosa di virtuale (il web) agisce su persone fisiche come se fosse esso stesso un contesto fisico.

Ora, parlando di società fisica, forse si sbaglia.

La società in sè stessa è virtuale, e qui avevano ragione i nominalisti già dal 1400: non esistono universali concreti, ma solo il nome generale con cui designiamo il concetto -> non esiste “L’Uomo”, esistono solo singoli uomini (individui, nomi singolari);

Quindi, mi vien da dire, noi siamo influenzati da ciò che è virtuale (nel senso che non esiste concretamente come oggetto) tanto come da ciò che è reale.

Che esista internet o meno.

Prima il web non esisteva come rete parallela, ma il concetto di società c’era già comunque. E la società prima non era più concreta di quello che è oggigiorno.

Oggi semplicemente il fenomeno dell’”essere influenzati da” si è allargato e potenziato. Perchè si è creata una copia della società, un virtuale del virtuale, che ci è ancora più lontana.

E’ ovvio che ci sono dei collegamenti tra mondo reale e mondo virtuale, ma questo da sempre, tra concetto ed oggetto.

La questione è: che cosa prevale?

Su cosa ci basiamo per decidere quale comportamento adottare?

Da dove acquisiamo i nostri valori?

Beh, siamo nel 2014, e se prima di Internet i valori venivano tramandati dalla famiglia, dalle istituzioni e dalla società [per quanto di natura virtuale possa essa comunque essere], oggi non è così, e ciò che ci fa crescere è – forse – il web.

Quante cose impariamo del mondo, guardando solo la sua descrizione? Descrizione che non è affatto esperienza del mondo, attenzione. Non conosciamo il mondo, ne abbiamo un discorso, una storia, un racconto. Un’immagine, una costruzione. Siamo così lontani dai fatti reali che nemmeno ce ne accorgiamo. Vediamo cose e crediamo di provare emozioni – crediamo, perchè magari davanti alla scena concreta il nostro status cambia.

Dove va a finire il senso dell’orientamento nel 2014? A farsi fottere, ecco dove va.

Solo un buon intuito, una buona preparazione tecnica, ossia, il conoscere un minimo la rete e sapervisi destreggiare, una buona prudenza, riescono a farci – un minimo – orientare.

Perchè anche l’hacker più bravo trova serie difficoltà, ogni tanto.

C’è da dire che il web, essendo la copia della società, non è nè più nè meno complicato della società stessa.

Quelli che sostengono che Internet è una giungla in cui troppo facilmente ci si perde, si, hanno ragione da un lato, ma non pensiamo che vivere in una società – in generale –sia molto più semplice.

Gli eventi del web seguono più o meno lo stesso sviluppo di quelli sociali. [fate caso a come avvengono le discussioni].

Ora, io però parto da un presupposto sbagliato, ahimè: che i più tanti utilizzatori dei servizi Internet siano persone in grado di intendere e di volere, con un minimo di senso del mondo, di educazione, di intelligenza, di gentilezza, e sì, che sappiano un minimo come funzionano le cose qua dentro.

Ma, quando poi leggo che persone si suicidano per un insulto su Ask.fm – mi fermo un attimo e ci rifletto.

Non sto dicendo che siano carne da macello e che siano dei coglioni ad attuare una cosa del genere – per un insulto sul web.

No, perchè questo viene semplicemente a confermare la mia tesi: che il web è la società stessa. Ed agisce su di noi alla stessa, medesima, fottutissima maniera. Ed un suicidio, di solito, viene attuato per motivi simili o pari ad un insulto anche nella vita “reale”.

La soluzione?

Intendere il web non come il web e basta, ma come la società stessa.

Noi ora siamo anche questo.

Dai accesso ad Internet ad un bambino di 11 anni: ottimo, ma prendi le tue dovute precauzioni. Devi essere cosciente tu, genitore, che è come se lo stessi lanciando in mezzo ad una folla di persone che parlano, ridono, urlano, si insultando, si baciano e si abbracciano.

E’ la stessa medesima cosa.

Guardi un profilo Facebook e intendi molto della persona che lo sta utilizzando. E’ una stronzata capire con chi hai a che fare (stiamo parlando di profili NORMALI di gente NORMALE) – non profili falsi o falsati in certe cose, persone che non si vogliono mostrare o cose del genere.

Che alla fin fine “profili falsati” esistono anche nella vita reale [pensate alle persone ipocrite, quante ne avete avute davanti!].

E’ brutto forse da dire, ma la ragazza che si è uccisa per un insulto su Ask.fm si sarebbe uccisa anche se l’insulto le fosse stato rivolto a scuola.

Non è apodittico, ma è un dubbio che così, mi sorge.


Venerdì 4 Aprile “Dai monti del Kurdistan” @ Blackout House

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“Come un corpo solo” – Mostra fotografica dalle 19.

4 aprile 2014@Radio Blackout


Che cos’è la rivoluzione?

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E’ come uno specchio.

Qualcosa di speculare rispetto allo stato attuale.

Avevo letto che due sostanze con le molecole speculari diventano due sostanze differenti. E che finiscono addirittura per prendere nomi diversi.

Ci stavo pensando sai, un paio di settimane fa.

Ho sempre in testa il fatto di cambiare le condizioni con cui si pone il problema, ma alla fine questo è semplicistico. Poi l’altro giorno a lezione mi è saltato in mente una cosa.

Il prof dice: “… perchè tramite questo si genera la possibilità/condizione di” – e allora forse bisogna andare ancora più in fondo, alle origini delle condizioni. E là è la soluzione.

Credo che una mentalità, e non tanto un’idea, omogenee, siano la base per far qualcosa. Se hai la mentalità, il modo in cui la tua mente te la sei costruita, (e non tanto te la sei fatta costruire) giusta, è un buon punto di partenza.

Che poi giusta è un termine sbagliato, ma non so come chiamarla.

Alla fin fine è forse questione di empatia, più che di parole. Non puoi spiegare un sentimento, perlomeno non bene come lo è viverlo di persona.

Puoi cercare di liberalizzare finchè vuoi la ganja, ma se metà parlamento non si è mai fatto una canna, fa fatica a darti ragione. Puoi andare in giro finchè vuoi a dire che i neri non sono cattive persone, ma se uno non ha mai parlato con nessuno di loro, non ci crederà mai. Non è solo mera apertura mentale, è questione di essere anche esseri umani – che certe cose nemmeno andrebbero spiegate, e invece ci scrivono sopra dei libri interi.

Ha ragione ******** nel dire che ci vuole un partito aperto a tutti, anche ai fascisti, mettiamola così. Non sparerei ai fascisti, i loro figli mi ammazzerebbero giustamente.

Non lo so cos’è la rivoluzione, davvero, non so come farla, perchè un metodo preciso non c’è, non so da dove partire, perchè ormai, un punto di fine ed inizio non c’è più, che uno ci creda o meno.

Deve essere qualcosa di spontaneo, alla fine è lei che viene da te, da te, come da tutti gli altri. E’ quando si vogliono fare le cose e le si fanno davvero alla fine.

Se c’è una volontà comune per una manifestazione, c’è anche per una rivoluzione.

Postilla 1 e grossissimo problema: per la rivoluzione servono i mezzi. Se non ci sono, si creano.

Postilla 2 e grossa disgrazia: si deve essere in tanti, e tutti con la stessa brama nel cuore.

Ovviamente sono tutte stronzate anche se le penso davvero, in Ucraina sono stati aiutati dagli Stati Uniti – ci sarebbero riusciti comunque?


Retate in San Salvario@Radio Blackout 105.250

L’informazione di Radio Blackout  (Torino)

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http://radioblackout.org/2014/03/san-salvario-retate-e-gentrificazione/

Il fenomeno “gentrification” cambia quartiere e dinamiche della vita della zona.

> “Con il termine gentrificazione (in inglese, gentrification, deriva da “gentry”, termine che indica la piccola nobiltà inglese) si indicano, in sociologia, i cambiamenti socio-culturali in un’area, risultanti dall’acquisto di beni immobili da parte di una fascia di popolazione benestante in una comunità meno ricca.” (Wikipedia)

Troppe retate e troppo visibili. La primavera scorsa, ci racconta Magda, dottoranda in sociologia, addiritura i droni furono usati.

Nel quartiere di San Salvario ci sono sempre stati affari del genere, c’erano gli spacciatori, c’erano i clienti.

I cambiamenti ci sono sempre, ci sono ovunque. Ciò di cui bisogna tener conto non è il fatto che le cose cambino, di per sè, ma piuttosto che direzione prendono.

Il cambiamento è in atto, si sa, lo sanno i commercianti, lo sanno le autorità, lo sanno i residenti, lo sanno le istituzioni comunali torinesi. I media (e non solo loro)lo hanno sempre descritto come qualcosa di “critico”.

“Critico” in questo caso sta a significare “estraneo”, come fenomeno, per la città.

Anche a  livello italiano, la rivitalizzazione dei quartieri popolari è un fenomeno nuovo e particolare. Di base, questa parte di Torino è sempre stata, di base, una zona moderna, con dell’attività, ma ha una popolazione composta da immigrati in prevalenza, immigrati che provengono dalle campagne torinesi, dal Sud Italia, dall’estero.

Quali si rivelano essere i problemi principali che affliggono alcuni ed i sospetti che questa situazione suscita?

a – che le retate non siano una risposta strutturale al problema. Risolvere una questione mentre il cambiamento stesso è in atto non serve. Il risultato potrebbe essere pessimo. Conviene aspettare, vedere cosa e come si trasforma la realtà e poi, semai, intervenire;

b – che sempre le retate siano legate alla campagna elettorale per le elezioni regionali ed europee (mese di maggio);

c – che i problemi dello spaccio siano legati alla chiusura dei Murazzi in centro (sposto i clienti, sposto i fornitori);

d – che il tira e molla delle licenze contingenti o meno per quanto riguarda l’apertura dei locali e delle attività commerciali.

 

By the way, io a San Salvario ci abito. E così male non si sta.