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Benvenuti in tempi interessanti @Slavoj Žižek

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“Qui è cruciale distinguere chiaramente tra due impossibilità: il reale-impossibile di un antagonismo sociale e l’impossibilità su cui si focalizza il campo ideologico dominante.

L’impossibilità è qui raddoppiata, serve da maschera di sé stessa; cioè, la funzione ideologica della seconda impossibilità è quella di offuscare il reale della prima. Oggi l’ideologia dominante tenta di farci accettare l’”impossibilità” di un cambiamento radicale, dell’abolizione del capitalismo, di una democrazia non limitata ai giochi parlamentari ecc., per rendere invisibile l’impossibile/reale dell’antagonismo che attraversa le società capitaliste.

Questo reale è impossibile nel senso che è l’impossibile dell’ordine sociale esistente, e cioè il suo antagonismo costitutivo; il che, tuttavia, non significa in alcun modo che non lo si possa trasformare radicalmente in un atto “folle” che cambi le fondamentali coordinate “trascendentali” del campo sociale.”


Se “agire” è più che mai antiquato @Zygmunt Bauman e Gunther Anders

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Come viviamo oggi il tempo, la temporalità?

Anzi, abbiamo ancora noi una temporalità?

Il capitalismo è un modello economico che esalta l’oggetto-merce, attribuendo ad esso un significato quasi mistico; 

il profitto è il fine ultimo; 

un’esagerata mole di bisogni apparentemente da soddisfare, per tutti, in egual maniera.

E questa egual maniera è necessariamente comprare.

Spendere, consumare, acquistare.

Ed in seguito gettare, sprecare, buttare.

(non riciclare, attenzione).

 

Il ciclo capitalistico si svolge più o meno così:

  • bisogno apparentemente impellente da soddisfare;
  • acquisto dell’oggetto-merce;
  • utilizzo veloce, repentino del suddetto;
  • scarto;
  • insoddisfazione post-utilizzo dell’oggetto-merce;
  • nuovo necessario acquisto.

Il capitalismo, ci spiegano i due autori, si regge su questa spirale alienante, basata sull’aumento esponenziale dei bisogni (ormai diventati obblighi), bisogni preconfezionati appositamente dal sistema, e sul conseguente insoddisfacimento che ne deriva.

Perchè questa insoddisfazione?

Beh, perchè probabilmente non sono bisogni veri.

Bisogni umani.

Fondamentalmente noi uomini abbiamo bisogni abbastanza semplici, di base.

Di base, non siamo troppo complicati.

Dovremmo mangiare, dormire, vestirci.

Un tetto, poterci lavare.

Se ci soffermiamo un attimo a pensare a tutto quello che di in-necessario abbiamo dentro le nostre abitazioni, o semplicemente dentro i nostri zaini, dentro le nostre tasche, dentro le nostre borse, potremmo dare ragione a Bauman, ad Anders, ai nostri nonni, ai nostri genitori, forse, se anche quest’ultimi non si sono ridotti nella nostra condizione.

L’oggetto-merce non è più oggetto in senso proprio, spiega Anders.

Noi possediamo solo “versioni”.

Versioni che l’un l’altra differiscono per una “differenza marginale”, dice GastonBachelard, filosofo francese, differenza che a noi appare macroscopica, quando in realtà la funzionalità di base dell’oggetto non è cambiata per nulla.

(Si pensi alle numerose versioni di un telefono cellulare)

L’oggetto-merce non è misurato più secondo qualità, ma secondo quantità.

(come del resto le relazioni sociali, ma questo è un altro paio di maniche)

Più un oggetto è associabile alla velocità, più esso viene ritenuto utile, degno d’essere acquistato.

L’esaltazione della velocità, della comunicazione e non, ha portato un cambiamento di concetto di temporalità, esterno ed interno, ossia della temporalità dell’anima.

Viviamo in un eterno presente, mitizzato, impacchettato, luccicante e all’apparenza perfetto.

L’apice del progresso è la società in cui noi ci troviamo.

Mitizzare il presente, cosa tipica della filosofia del progresso, non ha conseguenze positive.

L’uomo odierno vive in una perenne attesa del futuro incastrato nel suo mondo, quasi impossibilitato ad uscirne.

In un contesto del genere l’azione è delegittimata.

Ci riduciamo ad essere schiavi della merce e del tempo della merce.

La velocità, oltre che renderci dei nevrotici cronici, annienta il tempo della nostra anima.

Oggettizzazione, la chiamerei.

Se ci comportiamo come i nostri oggetti, oggetti-merce, ci riduciamo ad esseri senza memoria.

 

Chi è il soggetto?

Il soggetto è colui che ha un senso di continuità rispetto ai suoi accadimenti;

colui che le esperienze le introietta, non se le lascia scivolare addosso come fredde gocce di rugiada, impassibile;

colui che ha scoperto una propria temporalità e che pian piano, grazie ad essa, impara a conoscersi.

 

Tutto ciò è inapplicabile con un modello puntinista del tempo.

Bauman e Anders (il filosofo tedesco non usa espressamente questo termine, ma nei suoi scritti il concetto era lo stesso) associano la morte del tempo, il tempo come esperienza introiettata, con la morte della soggettività, ossia, la morte dello spirito.

 

Cosa si intende precisamente per modello puntinista del tempo?

Il tempo, oggigiorno, è visto come una successione di attimi dalla durata sempre più ristretta.

Più un oggetto fa il suo dovere velocemente, istantaneamente, più è considerato un “buon oggetto”.

Più una persona si rivela agile nell’apprendimento, più la sua considerazione sociale migliora.

Gli esempi sono tanti, li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.

 

Oggettizzazione, velocizzazione, automatizzazione dell’uomo hanno come conseguenza una perdita della soggettività, della temporalità del vissuto e, necessariamente, l’oblio del passato.

 

Per giudicare il presente è necessario avere memoria, una memoria perlomeno.

Ma non solo, è necessario avere “spessore” nel presente.

 

Il soggetto storico non può saltare dal un istante vuoto ad un’altro istante, vuoto anch’esso, sempre più velocemente.

Il rischio è un appiattimento totale dell’esperienza e del sentimento.

Mitizzare questo tipo di presente, alla cui base vi è un modello puntinista del tempo, rende impossibile l’azione.

Agire suona “antiquato”, direbbe Anders.

Agire, oramai, significa premere un tasto, scrivere ad un computer, chattare, messaggiare.

Non è agire puro.

E’ un “fake” d’azione.

Il fantoccio di ciò che un tempo era la quotidianità.

Scrivere a mano, parlarsi uno di fronte all’altro, chiarirsi, esprimere la propria opinione a voce, confrontarsi.