Category Archives: Appunti di filosofia

Benvenuti in tempi interessanti @Slavoj Žižek

vj5128c9de

“Qui è cruciale distinguere chiaramente tra due impossibilità: il reale-impossibile di un antagonismo sociale e l’impossibilità su cui si focalizza il campo ideologico dominante.

L’impossibilità è qui raddoppiata, serve da maschera di sé stessa; cioè, la funzione ideologica della seconda impossibilità è quella di offuscare il reale della prima. Oggi l’ideologia dominante tenta di farci accettare l’”impossibilità” di un cambiamento radicale, dell’abolizione del capitalismo, di una democrazia non limitata ai giochi parlamentari ecc., per rendere invisibile l’impossibile/reale dell’antagonismo che attraversa le società capitaliste.

Questo reale è impossibile nel senso che è l’impossibile dell’ordine sociale esistente, e cioè il suo antagonismo costitutivo; il che, tuttavia, non significa in alcun modo che non lo si possa trasformare radicalmente in un atto “folle” che cambi le fondamentali coordinate “trascendentali” del campo sociale.”


L’eterno ritorno dell’uguale @Nietzsche

3 (4)

Prendi una situazione, una qualsiasi situazione.
Ogni situazione ha un certo sentimento collegato a sè
– rabbia
– gioia
– dolore

disincarna, estrapola, astrai, ritaglia, il sentimento dalla situazione.

Come stavi tu, in quel momento?
Bene.

Ecco, sappi che queste due righe le potrai ripetere ancora, all’infinito.

Gli eventi vanno aldilà dei fatti.
Il fatto è collegato a persone fisiche, a individui in carne ed ossa, a luoghi materiali, ad oggetti.
Segue un ordine cronologico.

Gli eventi sono quello che aleggia attorno a tutta questa futile materialità.
L’evento è qualcosa di incorporeo che emerge dalle situazioni composte da luoghi e persone fisici.
Se ne distacca, ma allo stesso tempo ne proviene.

Perchè si sta male quando un amore o una bella situazione della propria esistenza termina?
Perchè ci si ferma al considerare solo l’aspetto materiale del proprio problema.
Sto male perchè lui mi ha lasciato, perchè mi sento solo, perchè non ho più nessuno da baciare e con cui parlare.
Ma tutto questo è futile, se ci si pensa.

Cambia il punto di vista, pensa: in quel momento, con quella persona, io sono stato bene.
Io stavo bene perchè.
Io mi sentivo così.
Lui era così.
Eravamo là.

E’ un ricordo, se vogliamo usare questo termine, anche se non mi piace molto.

Mantenere il ricordo disincarnato di ciò che ci succede ci aiuta a tirare avanti, credo.
Se ci mettiamo nell’ottica che tutto quello che rimane in noi può in qualche modo ripetersi, INDIPENDENTEMENTE dalle persone che frequentiamo, che odiamo, che amiamo, che “viviamo”, dai luoghi in cui ci troviamo, dagli oggetti che maneggiamo.

Quel ricordo-sentimento sarà possibile per sempre.
Perchè dopo che hai vissuto qualcosa che ti fa stare bene, lo riconosci subito.
Subito.
E’ come se, appunto, ti tornasse a mente qualcosa che ti sembrava aver scordato.
E quando torna, beh, sembra sempre la prima volta.


Se “agire” è più che mai antiquato @Zygmunt Bauman e Gunther Anders

shiga8

 

Come viviamo oggi il tempo, la temporalità?

Anzi, abbiamo ancora noi una temporalità?

Il capitalismo è un modello economico che esalta l’oggetto-merce, attribuendo ad esso un significato quasi mistico; 

il profitto è il fine ultimo; 

un’esagerata mole di bisogni apparentemente da soddisfare, per tutti, in egual maniera.

E questa egual maniera è necessariamente comprare.

Spendere, consumare, acquistare.

Ed in seguito gettare, sprecare, buttare.

(non riciclare, attenzione).

 

Il ciclo capitalistico si svolge più o meno così:

  • bisogno apparentemente impellente da soddisfare;
  • acquisto dell’oggetto-merce;
  • utilizzo veloce, repentino del suddetto;
  • scarto;
  • insoddisfazione post-utilizzo dell’oggetto-merce;
  • nuovo necessario acquisto.

Il capitalismo, ci spiegano i due autori, si regge su questa spirale alienante, basata sull’aumento esponenziale dei bisogni (ormai diventati obblighi), bisogni preconfezionati appositamente dal sistema, e sul conseguente insoddisfacimento che ne deriva.

Perchè questa insoddisfazione?

Beh, perchè probabilmente non sono bisogni veri.

Bisogni umani.

Fondamentalmente noi uomini abbiamo bisogni abbastanza semplici, di base.

Di base, non siamo troppo complicati.

Dovremmo mangiare, dormire, vestirci.

Un tetto, poterci lavare.

Se ci soffermiamo un attimo a pensare a tutto quello che di in-necessario abbiamo dentro le nostre abitazioni, o semplicemente dentro i nostri zaini, dentro le nostre tasche, dentro le nostre borse, potremmo dare ragione a Bauman, ad Anders, ai nostri nonni, ai nostri genitori, forse, se anche quest’ultimi non si sono ridotti nella nostra condizione.

L’oggetto-merce non è più oggetto in senso proprio, spiega Anders.

Noi possediamo solo “versioni”.

Versioni che l’un l’altra differiscono per una “differenza marginale”, dice GastonBachelard, filosofo francese, differenza che a noi appare macroscopica, quando in realtà la funzionalità di base dell’oggetto non è cambiata per nulla.

(Si pensi alle numerose versioni di un telefono cellulare)

L’oggetto-merce non è misurato più secondo qualità, ma secondo quantità.

(come del resto le relazioni sociali, ma questo è un altro paio di maniche)

Più un oggetto è associabile alla velocità, più esso viene ritenuto utile, degno d’essere acquistato.

L’esaltazione della velocità, della comunicazione e non, ha portato un cambiamento di concetto di temporalità, esterno ed interno, ossia della temporalità dell’anima.

Viviamo in un eterno presente, mitizzato, impacchettato, luccicante e all’apparenza perfetto.

L’apice del progresso è la società in cui noi ci troviamo.

Mitizzare il presente, cosa tipica della filosofia del progresso, non ha conseguenze positive.

L’uomo odierno vive in una perenne attesa del futuro incastrato nel suo mondo, quasi impossibilitato ad uscirne.

In un contesto del genere l’azione è delegittimata.

Ci riduciamo ad essere schiavi della merce e del tempo della merce.

La velocità, oltre che renderci dei nevrotici cronici, annienta il tempo della nostra anima.

Oggettizzazione, la chiamerei.

Se ci comportiamo come i nostri oggetti, oggetti-merce, ci riduciamo ad esseri senza memoria.

 

Chi è il soggetto?

Il soggetto è colui che ha un senso di continuità rispetto ai suoi accadimenti;

colui che le esperienze le introietta, non se le lascia scivolare addosso come fredde gocce di rugiada, impassibile;

colui che ha scoperto una propria temporalità e che pian piano, grazie ad essa, impara a conoscersi.

 

Tutto ciò è inapplicabile con un modello puntinista del tempo.

Bauman e Anders (il filosofo tedesco non usa espressamente questo termine, ma nei suoi scritti il concetto era lo stesso) associano la morte del tempo, il tempo come esperienza introiettata, con la morte della soggettività, ossia, la morte dello spirito.

 

Cosa si intende precisamente per modello puntinista del tempo?

Il tempo, oggigiorno, è visto come una successione di attimi dalla durata sempre più ristretta.

Più un oggetto fa il suo dovere velocemente, istantaneamente, più è considerato un “buon oggetto”.

Più una persona si rivela agile nell’apprendimento, più la sua considerazione sociale migliora.

Gli esempi sono tanti, li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.

 

Oggettizzazione, velocizzazione, automatizzazione dell’uomo hanno come conseguenza una perdita della soggettività, della temporalità del vissuto e, necessariamente, l’oblio del passato.

 

Per giudicare il presente è necessario avere memoria, una memoria perlomeno.

Ma non solo, è necessario avere “spessore” nel presente.

 

Il soggetto storico non può saltare dal un istante vuoto ad un’altro istante, vuoto anch’esso, sempre più velocemente.

Il rischio è un appiattimento totale dell’esperienza e del sentimento.

Mitizzare questo tipo di presente, alla cui base vi è un modello puntinista del tempo, rende impossibile l’azione.

Agire suona “antiquato”, direbbe Anders.

Agire, oramai, significa premere un tasto, scrivere ad un computer, chattare, messaggiare.

Non è agire puro.

E’ un “fake” d’azione.

Il fantoccio di ciò che un tempo era la quotidianità.

Scrivere a mano, parlarsi uno di fronte all’altro, chiarirsi, esprimere la propria opinione a voce, confrontarsi.


Cos’è che delegittima un avversario? @Il realismo politico di Machiavelli

Non si fa faticare a paragonare l’italiano odierno all’homo sapiens e nemmeno all’uomo dei “secoli bui” del Medioevo.

Bui per modo di dire, poi.

Il realismo politico ha radici classiche.

Lo si può rintracciare nel primo libro de “La Repubblica” di Platone.

In uno dei tanti dialoghi che vedono protagonista Socrate, appare un personaggio, un certo Trasimaco, il quale irrompe sulla scena urlando ed accusando il povero Socrate d’esser solo un vecchio inutile, di voler sentire da lui stesso la verità, di smettere di porre soltando domande, ma di dare dellerisposte ai quesiti.

Socrate, astuto com’è, replica dicendo che in realtà è semplicemente Trasimaco che vuole rispondere, ma a causa del suo carattere ha portato la conversazione alla degenerazione.

“Che cos’è la giustizia?” 

tumblr_lyjni2xJPm1qk91wgo1_500

E’ questa la domanda che all’inizio del dialogo trapela.

La legge, dice Trasimaco, è ciò che giova al potere costituito.

Ogni governo fa le leggi per il proprio tornaconto ed il giusto è semplicemente il vantaggio del più forte, di colui che detiene il potere.

Questa visione “cruda” della politica è quella tipica del realismo.

Il realismo, come corrente di pensiero, riduce la politica al potere.

 

Machiavelli è vissuto in un periodo di tremenda instabilità per l’Italia.

(un momento.. c’è mai stato un periodo di stabilità?)

Un Paese – eternamente – diviso al suo interno; 

(ricordate comuni, principati & co.?);

una classe politica corrotta, lotte intestine e quant’altro.

 

Mi ricorda qualcosa.. anche se siamo nel 2014 e sono passati cinquecento anni.

 

Il realismo machiavelliano è interessante come pensiero.

Pensiero alquanto fondato, in quanto ci spiega che la lotta, in politica, è inevitabile.

L’uso della forza, anche se in questi termini intendo “forza verbale”, è strutturale alla politica, di qualsiasi Paese, e l’Italia non faceva e non fa eccezione alcuna.

 

Gli interessi sono sempre duplici: vi sono quelli del cittadino e quelli dello Stato.

E raramente essi coincidono.

Tutte le società hanno minoranza e maggioranze, in Parlamento e fuori di esso.

 

Uno Stato funzionante è armonioso, ma al suo interno il confronto tra queste due fazioni è perenne.

Se non c’è confronto (scontro), non c’è politica.

 

Il conflitto tra due gruppi di pensiero può rivelarsi, però, costruttivo o distruttivo.

Machiavelli oppone due realtà altamente differenti per spiegarci questo.

Un conflitto costruttivo, era per esempio la “lotta” politica durante la Repubblica di Roma.

Il conflitto ideologico riusciva ad essere incanalato negli organi costituzionali, controllato, legittimato.

Istituzionalizzato, per questo costruttivo.

Vi era rispetto reciproco, rispetto che proveniva da entrambe le due fazioni, della “cosa pubblica”, il terreno dove ci si confronta.

 

La “teoria del governo misto”, esaltata nei “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, sarebbe un sistema che genera stabilità all’interno del corpo politico di un Paese, pur mantenendo il conflitto all’interno, come germe ineliminabile della politica stessa.

La stabilità è garantita da una sorta di “checks and balances” anacronistico: il bilanciamento dei poteri.

 

Ora, Machiavelli non era uno stupido, e vedeva come realmente andassero le cose in Italia.

Il conflitto era basato sulla delegittimazione reciproca.

Esso, del resto, non era istituzionalizzato e l’avversario non veniva tantomeno trattato con rispetto, anzi, l’avversario non aveva quasi diritto d’esistere.

 

Cos’è che delegittima un avversario?

Per Machiavelli, la costante tendenza al bipolarismo.

Un opposizione logica: A e NON-A.

Ecco ciò che annienta il dialogo, il conflitto “costruttivo”.

Scontri ideologici del genere sono solamente distruttivi e non portano a nulla, se non aumentare la ferocia dei partecipanti.

Le questioni di cui si “discute”, anche se è un termine alquanto ambiguo, dato che oggi, per esempio, in Parlamento volano addirittura le sedie, non si svolgono più al fine di fare progetti per la “cosa pubblica”, ma si svolgono solo perinteresse privato.

Il passaggio da interesse pubblico ad interesse privato (personale) è ciò che logora il conflitto costruttivo rendendolo distruttivo.

Un “armoniosa conflittualità” simile a quella della Repubblica romana, non può che fare bene ad un Paese ed alla sua politica.

Ma quando non c’è dialogo tra le parti, il sistema si logora.

La politica è scontro, ma deve essere uno scontro finalizzato, ragionato e ragionevole.

 

Questo discorso, se ci si fa caso, è molto attuale.

Nessuno vuole fornire ricette di politica, qui.

Ma la realtà l’abbiamo tutti davanti agli occhi.

Le questioni diventano questioni di principio.

Ai piani alti e specularmente ai piani più bassi.

Ad “A” inevitabilmente deve seguire un “NON-A”.

L’opposizione logica, che annienta entrambe le parti, non può che essere oramai radicata nel sistema.

Sistema che si sta distruggendo non per progressiva entropia, ma a causa di un violento, repentino: boom.