L’ExMOI è una occupazione dove vivono giovani e famiglie di 25 nazionalità, principalmente africani. Nelle palazzine vivono, oltre a quest’ultimi, anche famiglie con bambini.
Il 30 marzo del 2013 sono state occupate da queste ultime due palazzine con l’aiuto del comitato “Emergenza Nord Africa” e dei vari centri sociali torinesi, in particolare CSOA Gabrio ed Askatasuna.
Situato nel luogo simbolo della speculazione olimpica, l’ExMOI è diventato luogo di accoglienza di persone senza un tetto sulla testa.
Autogestite, le palazzine, il cui stato è tutt’ora abbastanza instabile in quanto a sicurezza ed igiene, ospitano più o meno 600 abitanti.
Il 7 aprile, sempre del 2013, una terza palazzina è stata occupata.
Nel maggio 2013 è stata aperta la scuola Giordano Bruno, in cui tre volte a settimana si tengono lezioni di italiano per stranieri, di matematica e di inglese (e gli insegnanti sono tutti volontari).
Il problema principale è sopperire alla mancata manutenzione passata. Il Comune, dopo poche settimane dall’inizio delle olimpiadi del 2006, ha abbandonato completamente il quartiere, e le palazzine sono inevitabilmente diventate obsolete e marciscenti.
Inoltre, altro problema da risolvere, si rivela essere la questione della residenza agli immigrati.
La residenza è individuale, il dilemma è che è ancora in via fittizia (casa comunale 3).
Le palazzine, nel frattempo, rimangono sotto il fondo della città di Torino, composto da Comune, Pirelli e San Paolo.
Emeanua ci mostra i documenti sanitari che attestano la sua malattia, l’epilessia.
Vive all’ExMOI da un paio di mesi, ma non ha ancora ricevuto l’aiuto di nessuno e non sa a chi rivolgersi.
E’ disposto a farsi fotografare nella speranza di trovare qualcuno che gli dia una mano a risolvere il suo problema.
Un rifugiato dell’ExMoi ci racconta la sua storia e come è arrivato ad avere un tetto grazie all’aiuto del Comitato Rifugiati.
Non ha moglie, né figli.
Ora vive in una delle quattro palazzine occupate situate nel quartiere Lingotto di Torino.
In passato, ci dice, ha avuto problemi con la giustizia, per furto e spaccio.
“Rubavo per andare in discoteca e per comprarmi l’alcol. Bevevo e rubavo. Non facevo nient’altro”.
Ha dei progetti.
Prima di tutto, sistemare l’appartamento in cui vive.
Un soggiorno, una camera da letto, angolo cottura, due bagni.
Ci mostra, prima di tutto, quello che non va.
Le pareti di uno dei due bagni sono marciscenti, ci sono perdite continue dal soffitto.
L’acqua che cade dal soffitto, la cattiva manutenzione, i muri che cadono a pezzi ed il soffitto che in certi punti a stento regge, sono fenomeni presenti in tutte le palazzine del quartiere.
Nicola, il nostro accompagnatore, ci porta a visitare una terza palazzina occupata.
Conosciamo gli inquilini, stavolta proveniente dal centro Africa.
Sono disposti a farsi fotografare.
Mentre lavoriamo, di sottofondo eccheggiano le voci di una soap opera straniera.
Ad un anno dall’inizio dell’occupazione si è data una festa.
Musica di vario genere; attività per bambini; cibo tipico senegalese; wall painting ed attività dimostrative.
Una vera e propria festa di quartiere.
Fotografi ed attivisti dei centri sociali torinesi hanno dato il loro contributo.
Sara partecipa da 3 mesi al progetto, ma è sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta per lei.
Viene dal nord Africa, 34 anni, un figlio a carico.
Il padre del suo bambino è sparito da tempo.
Si sente utile nell’aiutare queste persone ed è stata felice di poter parlare con noi.