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Cos’è che delegittima un avversario? @Il realismo politico di Machiavelli

Non si fa faticare a paragonare l’italiano odierno all’homo sapiens e nemmeno all’uomo dei “secoli bui” del Medioevo.

Bui per modo di dire, poi.

Il realismo politico ha radici classiche.

Lo si può rintracciare nel primo libro de “La Repubblica” di Platone.

In uno dei tanti dialoghi che vedono protagonista Socrate, appare un personaggio, un certo Trasimaco, il quale irrompe sulla scena urlando ed accusando il povero Socrate d’esser solo un vecchio inutile, di voler sentire da lui stesso la verità, di smettere di porre soltando domande, ma di dare dellerisposte ai quesiti.

Socrate, astuto com’è, replica dicendo che in realtà è semplicemente Trasimaco che vuole rispondere, ma a causa del suo carattere ha portato la conversazione alla degenerazione.

“Che cos’è la giustizia?” 

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E’ questa la domanda che all’inizio del dialogo trapela.

La legge, dice Trasimaco, è ciò che giova al potere costituito.

Ogni governo fa le leggi per il proprio tornaconto ed il giusto è semplicemente il vantaggio del più forte, di colui che detiene il potere.

Questa visione “cruda” della politica è quella tipica del realismo.

Il realismo, come corrente di pensiero, riduce la politica al potere.

 

Machiavelli è vissuto in un periodo di tremenda instabilità per l’Italia.

(un momento.. c’è mai stato un periodo di stabilità?)

Un Paese – eternamente – diviso al suo interno; 

(ricordate comuni, principati & co.?);

una classe politica corrotta, lotte intestine e quant’altro.

 

Mi ricorda qualcosa.. anche se siamo nel 2014 e sono passati cinquecento anni.

 

Il realismo machiavelliano è interessante come pensiero.

Pensiero alquanto fondato, in quanto ci spiega che la lotta, in politica, è inevitabile.

L’uso della forza, anche se in questi termini intendo “forza verbale”, è strutturale alla politica, di qualsiasi Paese, e l’Italia non faceva e non fa eccezione alcuna.

 

Gli interessi sono sempre duplici: vi sono quelli del cittadino e quelli dello Stato.

E raramente essi coincidono.

Tutte le società hanno minoranza e maggioranze, in Parlamento e fuori di esso.

 

Uno Stato funzionante è armonioso, ma al suo interno il confronto tra queste due fazioni è perenne.

Se non c’è confronto (scontro), non c’è politica.

 

Il conflitto tra due gruppi di pensiero può rivelarsi, però, costruttivo o distruttivo.

Machiavelli oppone due realtà altamente differenti per spiegarci questo.

Un conflitto costruttivo, era per esempio la “lotta” politica durante la Repubblica di Roma.

Il conflitto ideologico riusciva ad essere incanalato negli organi costituzionali, controllato, legittimato.

Istituzionalizzato, per questo costruttivo.

Vi era rispetto reciproco, rispetto che proveniva da entrambe le due fazioni, della “cosa pubblica”, il terreno dove ci si confronta.

 

La “teoria del governo misto”, esaltata nei “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, sarebbe un sistema che genera stabilità all’interno del corpo politico di un Paese, pur mantenendo il conflitto all’interno, come germe ineliminabile della politica stessa.

La stabilità è garantita da una sorta di “checks and balances” anacronistico: il bilanciamento dei poteri.

 

Ora, Machiavelli non era uno stupido, e vedeva come realmente andassero le cose in Italia.

Il conflitto era basato sulla delegittimazione reciproca.

Esso, del resto, non era istituzionalizzato e l’avversario non veniva tantomeno trattato con rispetto, anzi, l’avversario non aveva quasi diritto d’esistere.

 

Cos’è che delegittima un avversario?

Per Machiavelli, la costante tendenza al bipolarismo.

Un opposizione logica: A e NON-A.

Ecco ciò che annienta il dialogo, il conflitto “costruttivo”.

Scontri ideologici del genere sono solamente distruttivi e non portano a nulla, se non aumentare la ferocia dei partecipanti.

Le questioni di cui si “discute”, anche se è un termine alquanto ambiguo, dato che oggi, per esempio, in Parlamento volano addirittura le sedie, non si svolgono più al fine di fare progetti per la “cosa pubblica”, ma si svolgono solo perinteresse privato.

Il passaggio da interesse pubblico ad interesse privato (personale) è ciò che logora il conflitto costruttivo rendendolo distruttivo.

Un “armoniosa conflittualità” simile a quella della Repubblica romana, non può che fare bene ad un Paese ed alla sua politica.

Ma quando non c’è dialogo tra le parti, il sistema si logora.

La politica è scontro, ma deve essere uno scontro finalizzato, ragionato e ragionevole.

 

Questo discorso, se ci si fa caso, è molto attuale.

Nessuno vuole fornire ricette di politica, qui.

Ma la realtà l’abbiamo tutti davanti agli occhi.

Le questioni diventano questioni di principio.

Ai piani alti e specularmente ai piani più bassi.

Ad “A” inevitabilmente deve seguire un “NON-A”.

L’opposizione logica, che annienta entrambe le parti, non può che essere oramai radicata nel sistema.

Sistema che si sta distruggendo non per progressiva entropia, ma a causa di un violento, repentino: boom.